Catania da non perdere

Silvia
Catania da non perdere

Visite turistiche

È la piazza principale di Catania, da alcuni topografi ritenuta l’interpretazione siciliana del “tridente” di piazza del Popolo a Roma. Vi convergono infatti via Etnea, via Vittorio Emanuele e via Garibaldi, i tre assi viari del centro storico. Costruita dopo il terremoto del 1693, è stata completamente ristrutturata e rinnovata nel 2008, ed è ancora oggi sede del potere ecclesiastico e civico. Sul lato nord, infatti, troviamo il Palazzo degli Elefanti, o Loggia, in cui ha sede il Municipio; sul versante opposto, la fontana dell’Amenano, dalla quale ci si dirige verso la caratteristica zona della Pescheria; a fianco Palazzo dei Chierici e Porta Uzeda; a est, invece, domina la Cattedrale di Sant’Agata, Duomo della città, da cui deriva il nome della piazza. E al di sotto del manto stradale si trovano i resti delle terme Achilliane. Al centro regna la celebre fontana dell’elefante, costruita dall’architetto Gianbattista Vaccarini nel 1757, e in seguito più volte rimaneggiata, in cima alla quale fu posto il celebre “Liotru”, la statua del simbolo della città, presumibilmente di epoca romana. Nei momenti di vita cittadina e durante le occasioni solenni, Piazza Duomo è il luogo d’incontro dei catanesi.
36 lokalinvånare rekommenderar
Piazza del Duomo
Piazza del Duomo
36 lokalinvånare rekommenderar
È la piazza principale di Catania, da alcuni topografi ritenuta l’interpretazione siciliana del “tridente” di piazza del Popolo a Roma. Vi convergono infatti via Etnea, via Vittorio Emanuele e via Garibaldi, i tre assi viari del centro storico. Costruita dopo il terremoto del 1693, è stata completamente ristrutturata e rinnovata nel 2008, ed è ancora oggi sede del potere ecclesiastico e civico. Sul lato nord, infatti, troviamo il Palazzo degli Elefanti, o Loggia, in cui ha sede il Municipio; sul versante opposto, la fontana dell’Amenano, dalla quale ci si dirige verso la caratteristica zona della Pescheria; a fianco Palazzo dei Chierici e Porta Uzeda; a est, invece, domina la Cattedrale di Sant’Agata, Duomo della città, da cui deriva il nome della piazza. E al di sotto del manto stradale si trovano i resti delle terme Achilliane. Al centro regna la celebre fontana dell’elefante, costruita dall’architetto Gianbattista Vaccarini nel 1757, e in seguito più volte rimaneggiata, in cima alla quale fu posto il celebre “Liotru”, la statua del simbolo della città, presumibilmente di epoca romana. Nei momenti di vita cittadina e durante le occasioni solenni, Piazza Duomo è il luogo d’incontro dei catanesi.
Lungo via Dusmet, poco distante dalla Pescheria, si affaccia il Palazzo Biscari, che prende il nome dai Principi Biscari di cui era residenza. Dopo il terremoto del 1693, il precedente edificio fu ricostruito e ampliato. Incastonato sulla cortina delle mura di Carlo V, e più volte rimaneggiato durante tutto il Settecento, presenta diversi stili architettonici. Infatti, la parte sud-occidentale che si affaccia sulla Marina è ricca di ornamenti dal gusto tipicamente barocco, quali putti e cariatidi grottesche, mentre la parte sud-orientale, realizzata in un secondo momento, è di gusto neo-classico. Il prospetto di 160 metri lo rende il palazzo barocco più grande della città. Completato nel 1763, per opera di Francesco Battaglia, l’edificio presenta oltre 700 stanze e diverse sale in stile rococò, ricche di affreschi e decorazioni, la maggior parte delle quali adibite a private abitazioni e non visitabili. Tra tutte è imperdibile la visita al salone delle feste, completato nel 1766, e riccamente affrescato dal pittore Sebastiano Lo Monaco. All’interno del Palazzo, nel 1758, per volere del celebre studioso e archeologo Principe Ignazio Paternò Castello, è stato istituito il Museo Biscari, che conservava la sua numerosa collezione archeologica (al presente in parte spostata al Museo civico del Castello Ursino), museo che rese l’edificio meta delle più importanti personalità culturali tra il Settecento e l’Ottocento. Il museo ha conservato per anni le vaste collezioni archeologiche e naturali di Ignazio Paternò Castello V Principe di Biscari trasferite poi al Museo Civico del Castello Ursino nel 1930. Il museo ospita oggi l’MF “Museum&Fashion” che unisce cultura e moda in un binomio originale e imperdibile. Tra i visitatori celebri, si ricorda il Goethe, che lo visitò nel 1787 e ne celebrò la bellezza nel suo  “Viaggio in Italia”. Anche gli inglesi ne apprezzarono lo stile e l’architettura. Durante la seconda Guerra Mondiale, infatti, gli occupanti volevano farne una postazione di difesa ma, non appena compresero il valore storico e architettonico dell’edificio, decisero di soggiornarvi. Il palazzo è ancora oggi in gran parte abitato dai discendenti della famiglia Biscari, e i suoi saloni principali sono spesso usati per manifestazioni di carattere mondano e culturale.
111 lokalinvånare rekommenderar
Palazzo Biscari
10 Via Museo Biscari
111 lokalinvånare rekommenderar
Lungo via Dusmet, poco distante dalla Pescheria, si affaccia il Palazzo Biscari, che prende il nome dai Principi Biscari di cui era residenza. Dopo il terremoto del 1693, il precedente edificio fu ricostruito e ampliato. Incastonato sulla cortina delle mura di Carlo V, e più volte rimaneggiato durante tutto il Settecento, presenta diversi stili architettonici. Infatti, la parte sud-occidentale che si affaccia sulla Marina è ricca di ornamenti dal gusto tipicamente barocco, quali putti e cariatidi grottesche, mentre la parte sud-orientale, realizzata in un secondo momento, è di gusto neo-classico. Il prospetto di 160 metri lo rende il palazzo barocco più grande della città. Completato nel 1763, per opera di Francesco Battaglia, l’edificio presenta oltre 700 stanze e diverse sale in stile rococò, ricche di affreschi e decorazioni, la maggior parte delle quali adibite a private abitazioni e non visitabili. Tra tutte è imperdibile la visita al salone delle feste, completato nel 1766, e riccamente affrescato dal pittore Sebastiano Lo Monaco. All’interno del Palazzo, nel 1758, per volere del celebre studioso e archeologo Principe Ignazio Paternò Castello, è stato istituito il Museo Biscari, che conservava la sua numerosa collezione archeologica (al presente in parte spostata al Museo civico del Castello Ursino), museo che rese l’edificio meta delle più importanti personalità culturali tra il Settecento e l’Ottocento. Il museo ha conservato per anni le vaste collezioni archeologiche e naturali di Ignazio Paternò Castello V Principe di Biscari trasferite poi al Museo Civico del Castello Ursino nel 1930. Il museo ospita oggi l’MF “Museum&Fashion” che unisce cultura e moda in un binomio originale e imperdibile. Tra i visitatori celebri, si ricorda il Goethe, che lo visitò nel 1787 e ne celebrò la bellezza nel suo  “Viaggio in Italia”. Anche gli inglesi ne apprezzarono lo stile e l’architettura. Durante la seconda Guerra Mondiale, infatti, gli occupanti volevano farne una postazione di difesa ma, non appena compresero il valore storico e architettonico dell’edificio, decisero di soggiornarvi. Il palazzo è ancora oggi in gran parte abitato dai discendenti della famiglia Biscari, e i suoi saloni principali sono spesso usati per manifestazioni di carattere mondano e culturale.
Il Palazzo Valle è forse il più bello tra gli edifici barocchi progettati dal celebre architetto Vaccarini. Fu Pietro La Valle a commissionare il progetto, iniziato nella prima metà del Settecento e conclusosi un secolo dopo. Mensole smussate con gli angoli arrotondati, campi geometrici riquadrati, il balcone dalle linee morbide nel cui timpano spicca lo scudo della casa Valle-Gravina, la pietra calcarea in forte contrasto con l’intonaco scuro, i particolari e le rifiniture, l’imponente portone, conferiscono al prospetto principale una grande eleganza e imponenza. Alla base dell’edificio si trova un piano botteghe, mentre dall’androne due scalinate conducono al piano nobiliare attraverso un cortile interno. Riaperta al pubblico nel 2008, per volere di Alfio Puglisi Cosentino, che ne ha curato il restauro con lo scopo di creare un elegante luogo per l’organizzazione di eventi, incontri ed esposizione di opere d’arte principalmente contemporanee. Costituita nel 2004, la Fondazione Puglisi Cosentino occupa la corte interna, il secondo e il terzo piano del palazzo barocco. Nell’atrio sono esposte due opere permanenti di due esponenti dell’arte povera: Giovanni Anselmo e di Jannis Kounellis. La corte interna ospita, invece, un grande pilastro elicoidale in metallo, sempre di Jannis Kounellis e un’opera di 6 metri di Carla Accardi. La Fondazione, che opera a favore dell’arte antica, moderna e contemporanea, promuove inoltre le relazioni tra artisti e pubblico allo scopo di contribuire alla trasformazione del territorio.
Palazzo Valle
122 Via Vittorio Emanuele II
Il Palazzo Valle è forse il più bello tra gli edifici barocchi progettati dal celebre architetto Vaccarini. Fu Pietro La Valle a commissionare il progetto, iniziato nella prima metà del Settecento e conclusosi un secolo dopo. Mensole smussate con gli angoli arrotondati, campi geometrici riquadrati, il balcone dalle linee morbide nel cui timpano spicca lo scudo della casa Valle-Gravina, la pietra calcarea in forte contrasto con l’intonaco scuro, i particolari e le rifiniture, l’imponente portone, conferiscono al prospetto principale una grande eleganza e imponenza. Alla base dell’edificio si trova un piano botteghe, mentre dall’androne due scalinate conducono al piano nobiliare attraverso un cortile interno. Riaperta al pubblico nel 2008, per volere di Alfio Puglisi Cosentino, che ne ha curato il restauro con lo scopo di creare un elegante luogo per l’organizzazione di eventi, incontri ed esposizione di opere d’arte principalmente contemporanee. Costituita nel 2004, la Fondazione Puglisi Cosentino occupa la corte interna, il secondo e il terzo piano del palazzo barocco. Nell’atrio sono esposte due opere permanenti di due esponenti dell’arte povera: Giovanni Anselmo e di Jannis Kounellis. La corte interna ospita, invece, un grande pilastro elicoidale in metallo, sempre di Jannis Kounellis e un’opera di 6 metri di Carla Accardi. La Fondazione, che opera a favore dell’arte antica, moderna e contemporanea, promuove inoltre le relazioni tra artisti e pubblico allo scopo di contribuire alla trasformazione del territorio.
Il teatro Massimo è il luogo della messa in scena dell’opera lirica.  La sua costruzione fu travagliata: più volte interrotta per mancanza di fondi, terminò alla fine dell’Ottocento con l’inaugurazione ufficiale, il 31 maggio 1890, durante la quale venne messa in scena la rappresentazione della “Norma” di Vincenzo Bellini, il celebre compositore catanese cui il teatro è dedicato. Fu l’architetto Carlo Sada a progettare e realizzare l’edificio, sul preesistente teatro incompiuto disegnato da Stefano Ittar nel Settecento. All’esterno il teatro è realizzato seguendo lo stile veneziano, all’interno è ricco di affreschi e sculture, tra le quali regna quella in bronzo, raffigurante Vincenzo Bellini, realizzata da Salvo Giordano e posta nel foyer. La sala centrale è composta da quattro ordini di palchi e gallerie, sovrastati dal suggestivo soffitto affrescato da Ernesto Bellandi, che rappresenta “l’Apoteosi di Bellini”. Il teatro Bellini è stato celebrato da diversi tenori, tra i quali ricordiamo Stefano Gigli, per la sua acustica eccezionale, al pari del San Carlo di Napoli e della Fenice di Venezia.
259 lokalinvånare rekommenderar
Teatro Massimo Bellini
12 Via Giuseppe Perrotta
259 lokalinvånare rekommenderar
Il teatro Massimo è il luogo della messa in scena dell’opera lirica.  La sua costruzione fu travagliata: più volte interrotta per mancanza di fondi, terminò alla fine dell’Ottocento con l’inaugurazione ufficiale, il 31 maggio 1890, durante la quale venne messa in scena la rappresentazione della “Norma” di Vincenzo Bellini, il celebre compositore catanese cui il teatro è dedicato. Fu l’architetto Carlo Sada a progettare e realizzare l’edificio, sul preesistente teatro incompiuto disegnato da Stefano Ittar nel Settecento. All’esterno il teatro è realizzato seguendo lo stile veneziano, all’interno è ricco di affreschi e sculture, tra le quali regna quella in bronzo, raffigurante Vincenzo Bellini, realizzata da Salvo Giordano e posta nel foyer. La sala centrale è composta da quattro ordini di palchi e gallerie, sovrastati dal suggestivo soffitto affrescato da Ernesto Bellandi, che rappresenta “l’Apoteosi di Bellini”. Il teatro Bellini è stato celebrato da diversi tenori, tra i quali ricordiamo Stefano Gigli, per la sua acustica eccezionale, al pari del San Carlo di Napoli e della Fenice di Venezia.
In Piazza San Francesco D’Assisi, all’interno del palazzo settecentesco Gravina Cruyllas, si trova la casa natale del compositore Vincenzo Bellini, dichiarato monumento nazionale il 29 novembre 1923. L’appartamento, composto da 3 stanze e 2 piccoli vani, pur mantenendo gli arredamenti dell’epoca, è stato organizzato in ordine cronologico. Attraverso gli oggetti e i cimeli che sono appartenuti al celebre compositore, è stato organizzato un percorso temporale per indagare gli aspetti più intimi della vita di Bellini. Il museo conserva numerosi manoscritti autografi, spartiti, dipinti e addirittura la maschera mortuaria del compositore. Da poco ingrandito, al piano nobile dello stesso palazzo è possibile visitare l’esposizione di pianoforti e spartiti utilizzati dallo stesso Bellini e accedere alla biblioteca di cultura musicale e al Centro di studi belliniani.
55 lokalinvånare rekommenderar
Museo Civico Belliniano
3 Piazza S. Francesco d'Assisi
55 lokalinvånare rekommenderar
In Piazza San Francesco D’Assisi, all’interno del palazzo settecentesco Gravina Cruyllas, si trova la casa natale del compositore Vincenzo Bellini, dichiarato monumento nazionale il 29 novembre 1923. L’appartamento, composto da 3 stanze e 2 piccoli vani, pur mantenendo gli arredamenti dell’epoca, è stato organizzato in ordine cronologico. Attraverso gli oggetti e i cimeli che sono appartenuti al celebre compositore, è stato organizzato un percorso temporale per indagare gli aspetti più intimi della vita di Bellini. Il museo conserva numerosi manoscritti autografi, spartiti, dipinti e addirittura la maschera mortuaria del compositore. Da poco ingrandito, al piano nobile dello stesso palazzo è possibile visitare l’esposizione di pianoforti e spartiti utilizzati dallo stesso Bellini e accedere alla biblioteca di cultura musicale e al Centro di studi belliniani.
Uno squarcio dei resti dell’Anfiteatro romano è visibile al centro di Piazza Stesicoro. La data di costruzione è incerta: si presuppone che sia stato completato durante il II secolo d. C.  È certo, invece, come attestano gli storici, che già al tempo di Teodorico (494 – 526 d.C.) l’anfiteatro era in stato d’abbandono, e che i catanesi chiesero all’imperatore il permesso di utilizzarne le pietre come materiale di costruzione. Il grandioso monumento romano, secondo per grandezza solo al Colosseo, dovrebbe avere una circonferenza esterna di circa 300 metri, ed è quasi totalmente coperto dalle moderne costruzioni. La grandiosità del monumento è percepibile dai resti delle mura visibili in due traverse della via Manzoni, infatti, le fondamenta si sviluppano fino alla via Penninello. I lavori per riportarne alla luce i resti, visibili da Piazza Stesicoro, furono iniziati solo nel 1903 per volere del sindaco Giuseppe De Felice. Il monumento “sotterraneo” è ben conservato e visibile, affacciandosi da Piazza Stesicoro, sotto il manto stradale. Fonte di materiale edilizio anche per il re Ruggero, nel 1091, la pietra lavica dell’anfiteatro fu usata per la costruzione della Cattedrale di Sant’Agata e la realizzazione dell’antica cinta muraria.
151 lokalinvånare rekommenderar
Romerska amfiteatern i Catania
Piazza Stesicoro
151 lokalinvånare rekommenderar
Uno squarcio dei resti dell’Anfiteatro romano è visibile al centro di Piazza Stesicoro. La data di costruzione è incerta: si presuppone che sia stato completato durante il II secolo d. C.  È certo, invece, come attestano gli storici, che già al tempo di Teodorico (494 – 526 d.C.) l’anfiteatro era in stato d’abbandono, e che i catanesi chiesero all’imperatore il permesso di utilizzarne le pietre come materiale di costruzione. Il grandioso monumento romano, secondo per grandezza solo al Colosseo, dovrebbe avere una circonferenza esterna di circa 300 metri, ed è quasi totalmente coperto dalle moderne costruzioni. La grandiosità del monumento è percepibile dai resti delle mura visibili in due traverse della via Manzoni, infatti, le fondamenta si sviluppano fino alla via Penninello. I lavori per riportarne alla luce i resti, visibili da Piazza Stesicoro, furono iniziati solo nel 1903 per volere del sindaco Giuseppe De Felice. Il monumento “sotterraneo” è ben conservato e visibile, affacciandosi da Piazza Stesicoro, sotto il manto stradale. Fonte di materiale edilizio anche per il re Ruggero, nel 1091, la pietra lavica dell’anfiteatro fu usata per la costruzione della Cattedrale di Sant’Agata e la realizzazione dell’antica cinta muraria.
Costruito per volere di Federico II tra il 1239 e il 1250, il Castello Ursino nacque all’interno del progetto difensivo delle coste orientali siciliane e sorgeva su un promontorio circondato dal mare. Il progetto dell’edificio fu ideato e realizzato per mano dell’architetto Riccardo da Lentini che decise di renderlo simbolo dell’autorità e del potere imperiale. A causa dell’eruzione del 1669 la lava che scorreva a sud del castello, dove oggi c’è il quartiere “Angeli Custodi“, in direzione del mare, lo avvolse da ovest e da est con due bracci di magma, che colmarono i fossati e ne ridussero l’altezza “apparente” dal nuovo piano di calpestio, infatti le basi delle torri “a zampa di elefante” scomparvero alla vista e soltanto 20 anni fa sono state riportate alla luce. La lava, che aveva un fronte di circa 800-900 metri, riversandosi nel mare a ridosso dell’edificio creò una striscia di terra ferma e da quel momento il Castello Ursino non fu più affacciato sul mare. Nel XVI secolo divenne dimora temporanea dei Viceré, e parte della sua struttura fu adibita a prigione. I graffiti e le iscrizioni realizzate dai prigionieri sono tuttora visibili al piano terra dell’edificio, nonostante le numerose ristrutturazioni. Nel 1934 fu restaurato con l’intento di riportarlo all’originale stile svevo (dove non fu possibile a quello rinascimentale), e divenne la sede del Museo Civico di Catania. Il Museo riunisce le collezioni del Monastero dei Benedettini, parte di quella del principe Biscari, e parte di quelle donate ad esso dal barone Zappalà-Asmundo.
360 lokalinvånare rekommenderar
Castello Ursino
21 Piazza Federico di Svevia
360 lokalinvånare rekommenderar
Costruito per volere di Federico II tra il 1239 e il 1250, il Castello Ursino nacque all’interno del progetto difensivo delle coste orientali siciliane e sorgeva su un promontorio circondato dal mare. Il progetto dell’edificio fu ideato e realizzato per mano dell’architetto Riccardo da Lentini che decise di renderlo simbolo dell’autorità e del potere imperiale. A causa dell’eruzione del 1669 la lava che scorreva a sud del castello, dove oggi c’è il quartiere “Angeli Custodi“, in direzione del mare, lo avvolse da ovest e da est con due bracci di magma, che colmarono i fossati e ne ridussero l’altezza “apparente” dal nuovo piano di calpestio, infatti le basi delle torri “a zampa di elefante” scomparvero alla vista e soltanto 20 anni fa sono state riportate alla luce. La lava, che aveva un fronte di circa 800-900 metri, riversandosi nel mare a ridosso dell’edificio creò una striscia di terra ferma e da quel momento il Castello Ursino non fu più affacciato sul mare. Nel XVI secolo divenne dimora temporanea dei Viceré, e parte della sua struttura fu adibita a prigione. I graffiti e le iscrizioni realizzate dai prigionieri sono tuttora visibili al piano terra dell’edificio, nonostante le numerose ristrutturazioni. Nel 1934 fu restaurato con l’intento di riportarlo all’originale stile svevo (dove non fu possibile a quello rinascimentale), e divenne la sede del Museo Civico di Catania. Il Museo riunisce le collezioni del Monastero dei Benedettini, parte di quella del principe Biscari, e parte di quelle donate ad esso dal barone Zappalà-Asmundo.
Gioiello del tardo barocco siciliano ed esempio di integrazione architettonica tra le epoche, è indicato dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio dell’Umanità. L’intrigante vicenda del Monastero inizia nel 1558 e prosegue fino ai nostri giorni, grazie soprattutto all’intervento di recupero operato dall’Arch. De Carlo e dell’Ufficio Tecnico d’Ateneo. L’ex plesso monastico, per oltre un secolo compromesso degli usi civili (l’Osservatorio Astronomico, diversi istituti scolastici e una caserma), è stato riconosciuto dalla Regione Siciliana quale Opera di Architettura Contemporanea e dal 1977 è sede della Facoltà di Lettere e Filosofia. Al rigore neoclassico dei corpi architettonici settecenteschi si contrappone il carnevale tardo-barocco dei prospetti principali e l’eclettico Caffeaos del Chiostro di Levante, fino alla scoperta, nei sotterranei cinquecenteschi, di mosaici dei nuclei abitativi romani, perfettamente integrati grazie a contemporanee strutture sospese. Dal 2010 l’Associazione Officine Culturali ne cura la valorizzazione attraverso molteplici iniziative pubbliche: tour guidati, laboratori per bambini e adulti, eventi culturali e di svago. Le visite guidate condotte da Officine Culturali permettono, in un’ora e trenta circa, la visione degli spazi più significativi del Monastero dei Benedettini. Le visite partono ogni ora.
228 lokalinvånare rekommenderar
Benediktinerklostret
32 Piazza Dante Alighieri
228 lokalinvånare rekommenderar
Gioiello del tardo barocco siciliano ed esempio di integrazione architettonica tra le epoche, è indicato dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio dell’Umanità. L’intrigante vicenda del Monastero inizia nel 1558 e prosegue fino ai nostri giorni, grazie soprattutto all’intervento di recupero operato dall’Arch. De Carlo e dell’Ufficio Tecnico d’Ateneo. L’ex plesso monastico, per oltre un secolo compromesso degli usi civili (l’Osservatorio Astronomico, diversi istituti scolastici e una caserma), è stato riconosciuto dalla Regione Siciliana quale Opera di Architettura Contemporanea e dal 1977 è sede della Facoltà di Lettere e Filosofia. Al rigore neoclassico dei corpi architettonici settecenteschi si contrappone il carnevale tardo-barocco dei prospetti principali e l’eclettico Caffeaos del Chiostro di Levante, fino alla scoperta, nei sotterranei cinquecenteschi, di mosaici dei nuclei abitativi romani, perfettamente integrati grazie a contemporanee strutture sospese. Dal 2010 l’Associazione Officine Culturali ne cura la valorizzazione attraverso molteplici iniziative pubbliche: tour guidati, laboratori per bambini e adulti, eventi culturali e di svago. Le visite guidate condotte da Officine Culturali permettono, in un’ora e trenta circa, la visione degli spazi più significativi del Monastero dei Benedettini. Le visite partono ogni ora.
Villa Cerami fu la residenza della famiglia Rosso di Cerami. Costruita alcuni anni dopo il terremoto che colpì la città etnea nel 1693, la villa fu acquistata da Domenico Rosso, III principe di Cerami, nella prima metà del Settecento. Secondo gli storici, i principi Cerami apportarono modifiche e migliorie alla villa, non è però noto se la villa possedesse soltanto un corpo centrale ampliato dalla famiglia nobiliare o se i principi acquisirono una “casa grande”. Nel corso della propria residenza, la famiglia Cerami la abbellì con decorazioni barocche e mobilio prezioso. Nel 1881 la villa ebbe anche degli ospiti d’eccezione, il re Umberto e la regina Margherita, in onore dei quali fu tenuto un ricevimento con ballo. Con la parziale destinazione della residenza a succursale dell’Istituto Magistrale “G. Turrisi Colonna”, prima, e con la perdita di alcune opere d’arte, poi, il Novecento ha rappresentato un periodo di decadenza per Villa Cerami. Grazie però al suo acquisto nel 1957 da parte dell’Università di Catania, la villa è ritornata al suo antico splendore.  I colori degli affreschi furono ravvivati e le sale, così come tappeti, specchiere, divani e tavoli, restaurati. Il portale d’ingresso di villa Cerami, sede della facoltà di Giurisprudenza, conduce a un ampio cortile e a uno scalone monumentale. Il cortile, diventato luogo di incontro e di studio dei giovani studenti, è arricchito da una fontana bronzea realizzata da Emilio Greco, raffigurante la Grande Bagnante.
19 lokalinvånare rekommenderar
Villa Cerami
91 Via Crociferi
19 lokalinvånare rekommenderar
Villa Cerami fu la residenza della famiglia Rosso di Cerami. Costruita alcuni anni dopo il terremoto che colpì la città etnea nel 1693, la villa fu acquistata da Domenico Rosso, III principe di Cerami, nella prima metà del Settecento. Secondo gli storici, i principi Cerami apportarono modifiche e migliorie alla villa, non è però noto se la villa possedesse soltanto un corpo centrale ampliato dalla famiglia nobiliare o se i principi acquisirono una “casa grande”. Nel corso della propria residenza, la famiglia Cerami la abbellì con decorazioni barocche e mobilio prezioso. Nel 1881 la villa ebbe anche degli ospiti d’eccezione, il re Umberto e la regina Margherita, in onore dei quali fu tenuto un ricevimento con ballo. Con la parziale destinazione della residenza a succursale dell’Istituto Magistrale “G. Turrisi Colonna”, prima, e con la perdita di alcune opere d’arte, poi, il Novecento ha rappresentato un periodo di decadenza per Villa Cerami. Grazie però al suo acquisto nel 1957 da parte dell’Università di Catania, la villa è ritornata al suo antico splendore.  I colori degli affreschi furono ravvivati e le sale, così come tappeti, specchiere, divani e tavoli, restaurati. Il portale d’ingresso di villa Cerami, sede della facoltà di Giurisprudenza, conduce a un ampio cortile e a uno scalone monumentale. Il cortile, diventato luogo di incontro e di studio dei giovani studenti, è arricchito da una fontana bronzea realizzata da Emilio Greco, raffigurante la Grande Bagnante.
Tappa imperdibile per ammirare lo splendore "nascosto" dell'epoca Romana. Per la ricchezza d’acqua di cui godeva la città in epoca romana furono costruiti diversi edifici termali: sono ancora visibili i resti delle terme Achilliane, dell’Indirizzo e della Rotonda. Le Terme Achilliane si estendono sotto il livello calpestabile del Duomo e della piazza fino a via Garibaldi.  Vi si accede tramite una porta posta sul lato destro della facciata della Cattedrale. Conosciamo il nome del complesso termale, che fu costruito in epoca romana, probabilmente intorno al III sec. d.C., grazie ad un’iscrizione risalente al V sec. d.C. e agli atti del vescovo San Leone, dell’VIII secolo, che ne parlano, ma quale ne sia l’origine è ancora un mistero: alcuni storici presumono derivi dal nome del costruttore, o da una statua dell’eroe greco Achille, che non è giunta fino a noi. L’eruzione lavica del 1669, e il successivo terremoto del 1693, coprirono il complesso termale che fu riportato alla luce per volere del Principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello. Le strutture dell’edificio si sono conservate intatte, il locale più ampio di forma quadrata presenta volte a crociera sorrette da quattro imponenti pilastri; all’interno della vasca rivestita in marmo è ancora visibile una struttura in ferro alla quale presumibilmente i bagnanti si appoggiavano per entrare in acqua. Inoltrandosi nella parte occidentale dell’edificio è possibile scorgere il fiume Amenano che scorre e intravedere le fondamenta della fontana dell’Elefante.
38 lokalinvånare rekommenderar
Terme Achilliane
8 Piazza del Duomo
38 lokalinvånare rekommenderar
Tappa imperdibile per ammirare lo splendore "nascosto" dell'epoca Romana. Per la ricchezza d’acqua di cui godeva la città in epoca romana furono costruiti diversi edifici termali: sono ancora visibili i resti delle terme Achilliane, dell’Indirizzo e della Rotonda. Le Terme Achilliane si estendono sotto il livello calpestabile del Duomo e della piazza fino a via Garibaldi.  Vi si accede tramite una porta posta sul lato destro della facciata della Cattedrale. Conosciamo il nome del complesso termale, che fu costruito in epoca romana, probabilmente intorno al III sec. d.C., grazie ad un’iscrizione risalente al V sec. d.C. e agli atti del vescovo San Leone, dell’VIII secolo, che ne parlano, ma quale ne sia l’origine è ancora un mistero: alcuni storici presumono derivi dal nome del costruttore, o da una statua dell’eroe greco Achille, che non è giunta fino a noi. L’eruzione lavica del 1669, e il successivo terremoto del 1693, coprirono il complesso termale che fu riportato alla luce per volere del Principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello. Le strutture dell’edificio si sono conservate intatte, il locale più ampio di forma quadrata presenta volte a crociera sorrette da quattro imponenti pilastri; all’interno della vasca rivestita in marmo è ancora visibile una struttura in ferro alla quale presumibilmente i bagnanti si appoggiavano per entrare in acqua. Inoltrandosi nella parte occidentale dell’edificio è possibile scorgere il fiume Amenano che scorre e intravedere le fondamenta della fontana dell’Elefante.
Le Terme dell’Indirizzo, ancora in buono stato di conservazione, sono uno degli edifici romani ancora visibili in città. Devono il loro nome all’ex convento carmelitano di Santa Maria dell’Indirizzo, ricostruito nel 1727 sull’antico impianto seicentesco, oggi edificio scolastico, in cui sono parzialmente inglobate. Secondo la leggenda, il nome “Indirizzo” deriva dal raggio di luce che, durante una tempesta, “indirizzò” la nave del viceré di Sicilia Don Pietro Girone per approdare al porto di Catania. È ancora visibile all’interno l’originaria struttura, composta da dieci ambienti chiusi e da alcune stanze rettangolari, tra le quali è facile distinguere calidarium e frigidarium, le fornaci, i condotti d’areazione, i canali di scolo e di raccolta delle acque. La presenza dell’edificio termale dimostra quanto fosse sviluppata la città in epoca tardo-romana.
23 lokalinvånare rekommenderar
Terme dell'Indirizzo, Roman baths
Piazza Currò
23 lokalinvånare rekommenderar
Le Terme dell’Indirizzo, ancora in buono stato di conservazione, sono uno degli edifici romani ancora visibili in città. Devono il loro nome all’ex convento carmelitano di Santa Maria dell’Indirizzo, ricostruito nel 1727 sull’antico impianto seicentesco, oggi edificio scolastico, in cui sono parzialmente inglobate. Secondo la leggenda, il nome “Indirizzo” deriva dal raggio di luce che, durante una tempesta, “indirizzò” la nave del viceré di Sicilia Don Pietro Girone per approdare al porto di Catania. È ancora visibile all’interno l’originaria struttura, composta da dieci ambienti chiusi e da alcune stanze rettangolari, tra le quali è facile distinguere calidarium e frigidarium, le fornaci, i condotti d’areazione, i canali di scolo e di raccolta delle acque. La presenza dell’edificio termale dimostra quanto fosse sviluppata la città in epoca tardo-romana.
A pochi passi dal Castello Ursino, percorrendo la via S. Calogero, ci si imbatte in un antico pozzo interamente ricoperto dalla pietra lavica dell’eruzione del 1669. Un posto leggendario, dove un tempo, proprio sul fondo delle acque che vi scorrevano, erano visibili delle macchie di colore rossastro. Delle incrostazioni di magnesio e ferro che nell’immaginario dei Catanesi sono diventate le macchie del sangue di Gammazita. Secondo la leggenda, durante la dominazione francese, un soldato si invaghì di una giovane catanese, Gammazita. Deciso a farla sua, il soldato perseguitava e lusingava la giovane, già promessa in sposa. L’insistenza del soldato fu tale da costringere la famiglia della giovane ad affrettare il matrimonio. Ma in quel giorno, pochi attimi prima di giungere in chiesa, Gammazita si recò al pozzo per attingere alla sua fonte e il soldato la prese. Così, pur di non disonorare la propria famiglia, Gammazita scelse la morte e si gettò nel pozzo. Oggi è possibile visitare il pozzo grazie alle visite guidate dell’associazione Gammazita, che si occupa del suo recupero e della sua valorizzazione.
10 lokalinvånare rekommenderar
Pozzo di Gammazita
25 Via S. Calogero
10 lokalinvånare rekommenderar
A pochi passi dal Castello Ursino, percorrendo la via S. Calogero, ci si imbatte in un antico pozzo interamente ricoperto dalla pietra lavica dell’eruzione del 1669. Un posto leggendario, dove un tempo, proprio sul fondo delle acque che vi scorrevano, erano visibili delle macchie di colore rossastro. Delle incrostazioni di magnesio e ferro che nell’immaginario dei Catanesi sono diventate le macchie del sangue di Gammazita. Secondo la leggenda, durante la dominazione francese, un soldato si invaghì di una giovane catanese, Gammazita. Deciso a farla sua, il soldato perseguitava e lusingava la giovane, già promessa in sposa. L’insistenza del soldato fu tale da costringere la famiglia della giovane ad affrettare il matrimonio. Ma in quel giorno, pochi attimi prima di giungere in chiesa, Gammazita si recò al pozzo per attingere alla sua fonte e il soldato la prese. Così, pur di non disonorare la propria famiglia, Gammazita scelse la morte e si gettò nel pozzo. Oggi è possibile visitare il pozzo grazie alle visite guidate dell’associazione Gammazita, che si occupa del suo recupero e della sua valorizzazione.